Leadership ist Philosophie
Peter Jankovsky
(1) Wir fragen
Wer bin ich? Wer oder was soll ich werden? Was strebe ich an? Mit wem soll ich arbeiten und meine Projekte voranbringen? Und was wollen wir dann zusammen erreichen?
Diese Fragen stammen nicht nur aus dem Bereich der Psychologie und der Human Resources – sie sind auch ur-philosophisch. Schon Sokrates versuchte, diese Fragen
durch permanentes Ausfragen seiner Gesprächspartner zu beantworten: Die Menschen sollen selber eine Antwort finden.
Sein Schüler Platon entwickelte dann die explizite Lösung, „gut“ zu werden. Moralisch-ethisch gut, gesellschaftlich gut sowie gut im Sinne von leistungsfähig.
Und zwar durch die Analyse der Welt, der Analyse von Sachlagen.
(2) Wir zweifeln
Dabei können Zweifel entstehen, die stark verunsichern. Doch der französische Philosoph René Descartes sah eine Grundorientierung just darin, dass wir allem Zweifel zum Trotz eine Sicherheit haben – nämlich das eigene analysierende Ich.
Also können wir immer auf eine lebendige Denkdynamik zählen. Und dabei werden Denken und Analyse zu einer Art «Kinderspiel»: In den Augen des deutschen Denkers Friedrich Nietzsche muss unser Ich zum spielenden Kind werden, um Neues zu entdecken und in seiner Entwicklung in neue Höhen aufzusteigen.
(3) Wir entscheiden
Aber dann kommt der Zeitpunkt, da wir alles Spielen, Analysieren, Zweifeln hinter uns lassen müssen.
Oder wie es der dänische Früh-Existenzialist Sören Kierkegaard formuliert: Wir müssen uns einen Ruck geben und springen – in die Entscheidung, in die Tat. Und das manchmal recht schnell, so wie der Kommandant einer Schlachtschiffflotte vor dem Kampf.
Wenn nicht jetzt, wann dann? So lautet Kierkegaards ewig aktuelle Leitfrage, die schon in der Thora zu finden ist.
(4) Wir sind wir
Zweifeln, analysieren, spielerisch suchen, entscheiden und dann handeln: Alle diese von Philosophen beschriebenen Phasen des Ichs nützen dem Teambuilding und der Leadership in der Wirtschaft – sie verweisen auf Innovationsfähigkeit.
(5) Wir sind die Anderen
Doch es muss noch mehr hinzukommen: Es gilt, geistig immer produktiv zu sein – aber zu den Mitmenschen hin, in Bezug auf mein Arbeitsteam und meine Familie.
Dann erkenne ich mich selber besser und meine Fähigkeit, Visionen und Projekte zu entwickeln und zu realisieren. Für mich und für die Anderen, mit grossem "A" geschrieben.
(6) Wir sind Dialog
Es gilt, im steten Dialog zu bleiben! Nur im direkten Austausch von Ich und Du entsteht echtes Teambuilding.
Es entsteht, weil meine Personal Identity sich neu ausrichtet auf die Personal Identity des anderen.
Diese Harmonisierung findet statt dank Gemeinsamkeiten, dank einer Gemeinschaft. Und zwar ohne markante Hierarchien, sondern auf gleicher Augenhöhe - so, wie es das Modell "Beyond Leadership" von Patrick Cowden/Matthias Mölleney/Sibylle Sachs vorsieht.
Dann entstehen Visionen und Projekte, die eben langfristig tragbar sind. Dann können wir im Team neue Werte, neues Selbstvertrauen, neue Leadership für neue gemeinsame Ziele entwickeln.
Danach aber überlegt auch jede und jeder von uns für sich alleine, was noch optimiert werden kann. Dann ist die We-Group perfekt!
Come state, amici ticinesi?
Matthias Mölleney
Sono state delle vacanze di Pasqua surreali quest’anno. Il Papa nella vuota Basilica di San Pietro o l’autostrada del San Gottardo (quasi) vuota, queste sono immagini che non dimenticheremo così presto. Un minuscolo virus invisibile ad occhio nudo è riuscito a paralizzare quasi completamente il mondo.
A quanto pare, le misure radicali che le autorità in Svizzera e nella maggior parte degli altri Paesi hanno prescritto alle loro popolazioni hanno ora prodotto gli effetti sperati e le cifre relative all’infezione sono in calo.
Allo stesso tempo, la maggior parte dell’economia si è messa in ginocchio e sta subendo ulteriori danni ogni giorno dell’isolamento. Il primo allentamento delle restrizioni è ora in discussione e ci troviamo di fronte a un difficile equilibrio tra la necessità di continuare a controllare la diffusione del virus da un lato e la necessità di riprendere una vita normale dall’altro.
In questa discussione non dobbiamo ignorare ciò che abbiamo imparato e forse già interiorizzato nelle ultime settimane dallo scoppio della crisi. Per esempio, la cosa peggiore che abbiamo imparato tenendoci a distanza è che le altre persone sono potenzialmente pericolose e che dovremmo stare lontani da loro.
Fatalmente, gli scienziati e i media hanno denominato questa misura «distanziamento sociale» sin dall’inizio, esacerbando ulteriormente questa terribile esperienza. Non è affatto una distanza sociale, ma fisica.
L’OMS ha cercato di correggere questa situazione e ha introdotto il termine «distanzia- mento fisico», ma all’epoca il termine fuorviante «distanziamento sociale» era ovviamente già co- sì radicato nella mente delle persone che non poteva essere cambiato.
Chiunque stia ora pensando e decidendo sulle misure di rilassamento dovrebbe anche considerare come possiamo affrontare le esperienze negative dell’isolamento e come possiamo tornare alla normale interazione umana.
Se i negozi, i ristoranti e le scuole devono essere riaperti come primi nel lento ritorno e noi allo stesso tempo dobbiamo mantenere ulteriormente le distanze dagli altri e forse anche proteggerci da loro con delle maschere, allora abbiamo bisogno anche di misure sociali di accompagnamento.
Carichi estremi possono rinforzare la nostra società e lo abbiamo visto durante la crisi grazie a molte piccole iniziative e progetti di quartiere, in occasione degli applausi sui balconi e dei pasti gratuiti per gli operatori sanitari.
Ma carichi estremi pos- sono anche provocare la formazione di crepe quando le persone vengono escluse, ad esempio le persone che entrano ogni giorno nel Paese quali frontalieri e sono potenziali portatori di virus o persone che vivono in altri cantoni e quindi al momento sono non gradite.
Non c’è dubbio che una situazione eccezionale come quella vissuta in Ticino nei mesi di marzo e aprile richieda anche misure speciali. Ma chi si isola e forse anche emargina gli altri deve affrontare in tempo la questione di come riparare le fratture sociali che si sono create.
Cosa dovrebbe essere diverso in Ticino dopo la crisi rispetto allo stato prima della crisi, o vogliamo che tutto sia come prima? Si tratta di vedere la crisi come un’opportunità. E così facendo dovremmo prestare attenzione a ciò che è particolarmente importante per noi.
Se per noi è importante che il Ticino svolga un ruolo nel mondo che ci circonda, allora dobbiamo ritrasformare l’isolamento forzato in un’apertura invitante. Si tratta di coloro con cui viviamo, ma anche di coloro grazie a cui viviamo bene.
Dobbiamo ricostruire i ponti, per esempio:
• tra i colleghi del team ticinese e italiano, non solo nel settore sanitario, dove sono stati accolti i frontalieri anche durante la crisi
• tra anziani e giovani
• tra i lavoratori a tempo parziale e quelli che hanno dovuto continuare a lavorare invariata- mente anche durante la crisi
• tra i ticinesi e i proprietari svizzero-tedeschi di una casa secondaria
• tra chi doveva accudire i propri figli nell’uffi- cio di casa e chi chiedeva il massimo rendimento nell’ufficio di casa durante la crisi.
Se riusciremo a portare con noi l’empatia delle numerose iniziative di vicinato e la solidarietà e a costruire da esse i pilastri dei ponti, potremo guardare alla crisi pandemica del 2020 in modo diverso rispetto a quanto accadrebbe se ricordassimo solo le cifre quotidiane del contagio e gli appelli del Consiglio federale.
Molte delle e-mail che ho ricevuto nelle ultime settimane contenevano non solo saluti amichevoli ma anche l’augurio di «stare in salute». Non sarebbe qualcosa che potremmo portare con noi dall’apice della crisi al periodo in cui la situazione si sta attenuando e oltre?
Che ne dite, amici ticinesi, di trasformare la frase «Come stai?» in una domanda molto seria e molto interessata a come sta davvero l’altra persona che incontriamo? Anche se viene dall’Italia o da Zurigo. Anche se lui si trovava nell’ufficio di casa mentre io ero esposto alla presenza dei clienti o dei pazienti. Anche se lui durante l’isolamento non si è sempre comportato come avrei voluto io.
Siamo ancora in isolamento e non dobbiamo ancora attuare ciò che abbiamo pianificato per il periodo successivo. Ma potremmo. E sono convinto che sarebbe altrettanto bello quanto gli applausi dai balconi.
(Corriere del Ticino, 20 aprile 2020)
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